Storia di un re d’Egitto: Tutankhamon

“Quattro tabernacoli funebri in legno dorato, un baldacchino di lino trapunto di margherite dorate, un sarcofago in quarzite, tutto ciò non bastava per ospitare la mummia di un re d’Egitto. Gli scavatori avrebbero ora scoperto meraviglie ancor più sorprendenti: entro questo sarcofago di pietra vi erano tre sarcofaghi mummiformi l’uno dentro l’altro.”

Copertina del libro.
Fonte: www.lafeltrinelli.it

Tutankhamen: la vita immortale di un faraone è un saggio scritto da Christiane Desroches-Noblecourt. Egittologa di fama mondiale, appena 16 anni dopo la scoperta della tomba, si trova ad essere la prima donna a dirigere uno scavo archeologico. Grazie anche alle oltre settanta fotografie di F. L. Kennet, quest’opera ha la capacità di far tornare il lettore sul luogo di una delle più importanti scoperte archeologiche del XX secolo.

Chissà quali furono i pensieri e gli stati d’animo di Lord Carnarvon e Howard Carter quando finalmente i mesi trascorsi tra duro lavoro e impervie difficoltà (anche burocratiche) iniziarono a mostrare i primi risultati? L’autrice ripercorre le tappe fondamentali che portarono alla scoperta della tomba del faraone più conosciuto di sempre.

Si inizia subito dalla descrizione dei giorni assai frenetici che anticiparono e seguirono il fantastico ritrovamento. La spasmodica ricerca del sensazionalismo da parte della stampa che dette il via ad una delle leggende che hanno perdurato fino ai nostri giorni: la maledizione del faraone. In realtà, l’unico a rimetterci la vita nell’immediato fu il povero Lord Carnarvon che “nell’ora del suo trionfo, non poté contemplare […] la spoglia di colui al quale resta legato il suo nome”. Tutto il resto fu solo propaganda, positiva o meno, al fine di potersi assicurare la notizia di una grande scoperta. In fondo, come affermava Theodore Davis, si temeva che la Valle dei Re fosse ormai esaurita e che tutto ciò che poteva essere ritrovato era stato già riportato alla luce. Fortunatamente si sbagliava.

Il lavoro metodologico e l’innata ostinazione di Carter portarono il 4 novembre 1922 all’ingresso di una tomba, forse già saccheggiata. In realtà aveva ancora moltissimo da mostrare. Ed è qui che inizia una descrizione minuziosa e serrata della tomba rinvenuta. Si va dalla scoperta e la liberazione del corridoio, l’anticamera (camera sud), la camera a nord (del tesoro), la camera funebre (camera ovest) e infine il locale annesso e orientato ad est. La minuziosa descrizione di ogni singolo oggetto e della sua posizione originaria creano un ritmo narrativo lento. La descrizione risulta però necessaria per ricreare quella stessa atmosfera di cento anni fa.

Sfogliando le pagine è logico pensare che il lavoro svolto negli anni della scoperta sia stato fatto velocemente e in poche settimane. In realtà dalla scoperta della tomba all’individuazione e descrizione del sarcofago e della celeberrima maschera d’oro passarono almeno tre anni. Carter aveva la volontà di catalogare, classificare e descrivere ogni singolo reperto. In questo modo si evitava il rischio che anche il più piccolo di essi potesse andare perso o non descritto correttamente. Un’analisi come questa consentì di dare una spiegazione a tutti gli oggetti rinvenuti e alle posizioni che occupavano nelle varie stanze.

Eppure, c’era qualcosa che non tornava; o per meglio dire emergevano delle contraddizioni tra la solennità dei riti che accompagnarono il trapasso del faraone e una sorta di fretta ingiustificata nell’eseguirli. L’autrice spiega che solo le circostanze che accompagnarono la vita e la morte del re avrebbero potuto spiegare e far comprendere meglio queste incongruenze.

Inizia così la parte del libro dedicata alla descrizione della storia e della genealogia di Tutankhamon; ovviamente con le conoscenze a disposizione in quegli anni. L’autrice ripercorre le tappe fondamentali della rivoluzione amarniana. Il lettore può comprendere pienamente il contesto storico e culturale in cui crebbe il re bambino. Eccola, quindi, presentarci il periodo storico in cui Amenofi IV divenne Akhenaton “Colui che è gradito ad Aton”, il fondatore a Tell el-Amarna della capitale Akhetaton. La sua opera mirava a ridimensionare il potere dei sacerdoti di Amon divenuti, nel tempo, un’inammissibile alternativa al potere del faraone. Il faraone eretico morirà in giovane età e con lui anche gran parte della sua riforma. Infatti, pian piano, sarà ripristinata la tradizione e il culto solare monoteista sarà ben presto ridimensionato.

Tutto ciò avverrà in gran parte sotto il regno del giovane Tutankhaton, “immagine vivente di Aton”. Inizierà cambiando il suo nome e diventerà per tutti Tutankhamon, “immagine vivente di Amon”. Come ci suggerisce l’autrice, non deve essere stato un periodo facile per il giovane re. Ella stessa afferma che: “Sono pochi i re egiziani che, giunti così giovani al trono, si siano distinti entro un limitato numero di anni, per un numero così elevato di opere intraprese”. Basti, infatti, pensare alle opere concrete che fece realizzare a Karnak e a Luxor. Inoltre restaurò antiche pratiche religiose quali la Festa di Opet.

Come poi non citare le tante figure enigmatiche che contribuirono a forgiare il carattere di Tutankhamon ma seppero sfruttare la loro posizione per accrescere la propria influenza.

Ay ricoprì il ruolo di “portatore del flabello” per il faraone eretico. Fece parte del consiglio di reggenza che governò l’Egitto durante l’infanzia del faraone bambino. Seppe far fruttare la sua influenza ed esperienza a tal punto che abilmente divenne il successore del faraone. Horemheb fu, invece, comandante dell’esercito durante i regni di Tutankhamon e Ay. Dopo la sua ascesa al trono, diede vita alla damnatio memoriae di Akhetaton e dei suoi successori.

Si giunge, così, alla fine del viaggio terreno di Tutankhamon. L’autrice descrive dettagliatamente tutte le fasi caratterizzanti la morte, la mummificazione e i relativi riti fino all’ingresso nella tomba. “La maschera d’oro era l’immagine stessa del sovrano che riacquistava la vita, era l’essere rinnovato, la Fenice, il bennu, come affermavano le iscrizioni incise dietro la pietra”. Una frase che descrive senza bisogno di aggiungere altro il senso del viaggio oltre la morte, uno dei principi base della cultura egizia.

In conclusione, posso solo aggiungere che farsi guidare in questo viaggio da una grandissima esperta come Christiane Desroches-Noblecourt è davvero un privilegio e un onore. Per questo consiglio questo libro a tutti così come a me è stato consigliato (e regalato) da una persona speciale. Buona lettura.

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