La Misteriosa Signora del Museo Nazionale di Varsavia

La “Misteriosa Signora” del Museo Nazionale di Varsavia è il soprannome che i ricercatori hanno dato ad una particolare mummia femminile coinvolta, insieme ad altre, nel “Warsaw Mummy Project” e che ha riservato grandissime sorprese.

La Misteriosa Signora del Museo Nazionale di Varsavia.
Fonte: edition.cnn.com

Aggiornamento

La mummia incinta NON è incinta

A volte capita di dover rivedere un’analisi gettando all’aria mesi di lavoro.

Questo dovrebbe essere quanto successo agli studiosi del Warsaw Mummy Project.

La mummia incinta NON era incinta!

La “smentita”, firmata dalla direttrice del gruppo Kamila Braulińska, è stata pubblicata a fine luglio sulla rivista Archeological and Anthropological Sciences.

Gli studiosi hanno condotto nuove analisi sulla “Misteriosa Signora”, utilizzando una tecnologia innovativa: la Mixed Reality, applicata ai precedenti risultati ottenuti con TC.

Questo nuovo approccio mette di nuovo in risalto l’enorme potenziale di divulgazione scientifica anche dentro i musei. Tuttavia, affermano gli autori del recente articolo, “rivela i pericoli di un uso improprio dei protocolli di ricerca sulle mummie come oggi utilizzati e suggerisce alcuni miglioramenti metodologici nei casi di sospetta presenza fetale“.

Questa volta i toni dell’articolo sembrano essere molto più prudenti ma, tra immagini radiologiche, revisioni di articoli su mummie e feti e interessanti confronti, gli studiosi ritengono più probabile l’identificazione della massa nell’utero della mummia come un fascio di bende.

Oggetto che, effettivamente, è più facilmente prevedibile ritrovare all’interno del bacino di un corpo mummificato.

Il Warsaw Mummy Project

Il Warsaw Mummy Project, avviato nel 2015 da un gruppo di archeologi e bioarcheologi dell’Università di Varsavia, ha lo scopo di analizzare le oltre 40 mummie umane ed animali, conservate nel Museo Nazionale della città polacca.

Le mummie sono un’importante risorsa per conoscere non solo i Faraoni, ma anche la “vita quotidiana” dell’antico Egitto.

L’iniziativa prevede delle complesse tecniche d’indagine suddivise in due fasi.

La prima comprende la tomografia assiale computerizzata (TAC), radiografia e dattiloscopia, nonché l’analisi dei metodi di mummificazione e lo stato di conservazione dei tessuti.

La seconda fase, più invasiva, prevede delle complesse analisi in laboratorio, per le quali è necessario il prelievo di piccoli campioni di tessuto.

Il Warsaw Mummy Project.
Fonte: poland.pl

Il Warsaw Mummy Project, fondato dall’archeologo Wojciech Ejsmond, dalla zooegittologa Kamila Braulińska e dalla bioarcheologa Marzena Ożarek-Szilke, prevede addirittura la collaborazione dei Carabinieri italiani, specializzati nell’analisi dattiloscopica.

(Per conoscere il progetto, le tecniche d’indagini, nonché la squadra fondatrice, cliccate QUI)

Le analisi precedenti

Molte sono le analisi che negli ultimi anni hanno riguardato le antiche mummie egizie.

Dalle analisi della prof.ssa Demarchi con la membrana EVA, a quelle francesi con un’innovativa tecnica non invasiva, definita EPR.

Impossibile dimenticare poi gli studi che hanno permesso d’individuare in una mummia egizia un particolare carapace di fango.

Molto interessanti anche le indagini condotte sulla Screaming Woman Mummy, che hanno premesso di capire le cause della morte;

Dulcis in fundo, le analisi sulla mummia del Faraone Seqenenra Taa, grazie alle quali si è potuto accertare l’atrocità della morte.

La particolare mummia del Museo Nazionale di Varsavia

A sinistra la testa e a destra la scansione TC della mummia.
Fonte: Wojciech Ejsmond, Journal of Archaeological Science, https://doi.org/10.1016/j.jas.2021.105371

Fra le oltre 40 mummie analizzate dagli studiosi del Warsaw Mummy Project ce n’è una che ha riservato non poche sorprese.

Per questo è stata oggetto di un’importante reinterpretazione dei dati posseduti in precedenza e, alla fine, gli studi condotti sono culminati in un articolo pubblicato sulla rivista Journal of Archaeological Science l’8 marzo 2021.

Dalla pubblicazione si evince che questo reperto è stato donato da Jan Wężyk–Rudzki nel dicembre del 1826 all’Università di Varsavia, che poi lo ha prestato al Museo Nazionale dove è tutt’ora in esposizione.

In quegli anni si riteneva che la mummia appartenesse ad una donna e che, con il suo sarcofago, fosse stata ritrovata nella vasta necropoli di Tebe.

Il set composto da sarcofago, cartonnage e mummia acquistato da Jan Wężyk–Rudzki.
Fonte: Wojciech Ejsmond, Journal of Archaeological Science, https://doi.org/10.1016/j.jas.2021.105371

Negli anni ’20 del XX secolo, invece, interpretando le iscrizioni sul sarcofago, si identificò il reperto in Hor-Djeuty, un sacerdote della divinità Horus Thot, adorata nella zona di Djeme, un complesso di templi ed una città nel moderno villaggio di Medinet Habu (nell’area dell’antica Tebe).

Gli studi del 2015 del Warsaw Mummy Project

Nel 2015, la tomografia computerizzata (analisi non invasiva che non richiede lo sbendaggio della mummia) ha rivelato, però, una storia ben diversa.

E una sorpresa a dir poco eccezionale, che ha lasciato stupiti i ricercatori e il mondo intero.

Dall’analisi delle immagini, infatti, gli studiosi hanno notato la totale assenza dei chiari caratteri fisici maschili e, attraverso la visualizzazione in 3D, la contemporanea presenza di capelli lunghi e ricci ed il seno mummificato.

La mummia apparteneva chiaramente ad una donna di circa trent’anni!

Come già notato in alcune delle precedenti analisi citate sopra, era pratica comune dei mercanti di antichità del XVIII e XIX secolo collocare un corpo mummificato in un sarcofago ad esso non correlato.

Secondo il dott. Ejsmond si stima addirittura che, delle mummie presenti nelle collezioni dei musei, circa il 10% potrebbe trovarsi nei sarcofagi sbagliati.

Datazione e mummificazione

Dopo vari accertamenti, gli studiosi sono abbastanza certi nel datare la mummia al I secolo a.C., mentre ancora dubbi sorgono sull’effettivo luogo di sepoltura/ritrovamento; non c’è, infatti, modo di confermare che il reperto provenga dalle tombe reali di Tebe, come suggerito da Wężyk–Rudzki.

Considerato l’alto livello di mummificazione, con gli arti avvolti separatamente, i visceri imbalsamati a parte e riposti all’interno del corpo e, soprattutto, i circa quindici amuleti, interposti fra le bende e visualizzati dagli studiosi, sembra si possa affermare con certezza che il corpo apparteneva ad una donna d’alto rango.

Area addominale della mummia con amuleti che rappresentano i Quattro Figli di Horus sopra l’area dell’ombelico.
Fonte: Wojciech Ejsmond, Journal of Archaeological Science, https://doi.org/10.1016/j.jas.2021.105371

Fra gli oggetti individuati ce ne sono quattro, di circa 4 cm l’uno, posizionati sul petto della mummia, che hanno una particolare caratteristica: sono, infatti, mummiformi.

La loro posizione e forma suggerisce che possano essere i Quattro figli di Horus che, al pari dei vasi canopi, proteggevano i visceri.

Quando poi gli studiosi stavano preparando i risultati per la pubblicazione è arrivata la sorpresa più grande.

La dott.ssa  Marzena Ożarek-Szilke ha infatti raccontato che, mentre insieme al dott. Stanisław Szilke stavano ricontrollando le immagini, hanno notato qualcosa di molto familiare per una coppia con tre bambini: un piccolo piede.

Area addominale della mummia; A: raggi X; B – D CT (C e D intensi segni di colore del feto).
Fonte: Wojciech Ejsmond, Journal of Archaeological Science, https://doi.org/10.1016/j.jas.2021.105371

Gli studiosi si trovavano di fronte non solo alla mummia di una donna, ma di una donna incinta!

Nell’articolo che poi è stato pubblicato si sottolinea come negli anni è già successo di trovare sepolture di donne in gravidanza, ma questa è la prima volta che si rinviene una donna incinta mummificata.

Con, tra l’altro, ancora il feto all’interno del corpo.

Ecco che gli studi del Warsaw Mummy Project oltre a rispondere a domande quali età, cause della morte o malattie delle mummie presenti nel Museo Nazionale di Varsavia, hanno, in questo caso, anche l’enorme potenziale di fornire nuovi dati circa la gravidanza in tempi antichi.

Il feto

Analizzando la circonferenza della testa del feto, gli studiosi stimano che la madre fosse tra le 26 e le 30 settimane, quando morì per ragioni sconosciute.

Misterioso è anche il motivo per il quale gli imbalsamatori non hanno rimosso il feto, insieme agli altri organi interni, durante il processo di mummificazione.

Nell’articolo però gli studiosi ipotizzano una duplice soluzione: da una parte, bisogna considerare il lato prettamente religioso per il quale un individuo senza nome non poteva sopravvivere nell’aldilà. Solo come parte integrante della madre, infatti, il bambino avrebbe potuto proseguire la sua vita nella Duat.

D’altro canto, però, bisogna anche considerare che in quelle settimane di gravidanza le pareti dell’utero sono molto spesse e, nel rimuovere il feto, i sacerdoti avrebbero rischiato di danneggiare non solo il corpo della madre, ma anche quello del bambino che, così, è stato lasciato al suo posto.

A questo punto delle indagini, il team di studiosi spera di poter proseguire gli studi sulla Misteriosa Signora (come è stata soprannominata la mummia), prelevando micro-campioni dal corpo per poter stabilire anche le cause della morte.


Cliccando QUI potete leggere l’articolo originale aggiunto alla sezione “La Chimica nel Processo di Mummificazione” della nostra Raccolta bibliografica.

Fonti

  • Wojciech Ejsmond, Journal of Archaeological Science, https://doi.org/10.1016/j.jas.2021.105371

Elena Cappannella

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