Recenti analisi condotte su una mummia egizia rivelano la presenza di un particolare involucro di fango

Un nuovo studio, pubblicato il 3 febbraio sulla rivista PlosOne, rivela eccezionali sorprese su una mummia egizia, compreso un particolare involucro di fango mai documentato prima, nonché uno strano “scambio d’identità”.

Immagini TC con rendering 3D di individui mummificati (NMR.27.3) che mostrano il carapace e le sezioni rotte. A. Anteriore. B. Lato sinistro laterale. C. Posteriore. D. Laterale lato destro.
Fonte: Sowada K, Power RK, Jacobsen G, Murphy T, McClymont A, Bertuch F, et al. (2021) Multidisciplinary discovery of ancient restoration using a rare mud carapace on a mummified individual from late New Kingdom Egypt. PLoSONE 16(2): e0245247

La mummia e il carapace di fango

La presenza di involucri in resina nelle mummie reali del tardo Nuovo Regno (XXI dinastia), anche se poco discussa in letteratura, era già stata rilevata durante studi precedenti.

Indagini radiologiche su una mummia conservata nel Chau Chak Wing Museum di Sidney, hanno invece portato alla scoperta di un raro guscio (o carapace) di fango che protegge il defunto.

L’individuo mummificato, proveniente da Tebe occidentale, venne acquistato, insieme al sarcofago, da Sir Charles Nicholson durante il suo viaggio in Egitto nel 1856-1857, che lo donò poi all’Università di Sidney nel 1860.

Gli studi condotti sulla mummia

Numerosi sono stati gli studi condotti e già nel 1999 la mummia venne sottoposta ad una scansione di tomografia computerizzata (TC), che evidenziò la presenza di fango sotto le bende di lino.

Immagini TC assiali dell’individuo mummificato (NMR.27.3) che mostrano viste trasversali del carapace a differenti posizioni. Il carapace è una sottile linea bianca sotto gli involucri (indicata da una freccia).
Fonte: Sowada K, Power RK, Jacobsen G, Murphy T, McClymont A, Bertuch F, et al. (2021) Multidisciplinary discovery of ancient restoration using a rare mud carapace on a mummified individual from late New Kingdom Egypt. PLoSONE 16(2): e0245247.

In un nuovo studio, pubblicato il 3 febbraio sulla rivista PlosOne, la dott.ssa Karin Sowada dell’Università di Sidney e i suoi colleghi hanno riesaminato il corpo utilizzando una tecnologia aggiornata.

Lo scopo del carapace di fango

Le nuove scansioni hanno rivelato che il guscio di fango ricopriva interamente la mummia ed era stratificato all’interno degli involucri di lino. Le immagini degli strati più interni hanno inoltre permesso agli studiosi di capire il motivo per cui è stato applicato questo carapace.

Frammenti di carapace NMR.27.13a – d da sinistra a destra (fotografie di K. Sowada). A. Recto, che mostra il pigmento rosso. B. Verso, che mostra la base di fango.
Fonte: Sowada K, Power RK, Jacobsen G, Murphy T, McClymont A, Bertuch F, et al. (2021) Multidisciplinary discovery of ancient restoration using a rare mud carapace on a mummified individual from late New Kingdom Egypt. PLoSONE 16(2): e0245247

I resti infatti, soprattutto a livello del ginocchio sinistro e della parte inferiore della gamba, risultano essere stati danneggiati, alcune generazioni dopo la mummificazione, probabilmente dai ladri di tombe.

Appare probabile, quindi, che l’involucro di fango sia stato applicato per riparare il corpo, indispensabile per far sì che il defunto potesse proseguire il suo viaggio nell’aldilà.

Tuttavia i ricercatori ipotizzano che, oltre che pratico, tale carapace potesse essere anche un artefatto funerario simbolico.

Infatti, suggeriscono che coloro che si sono presi cura del defunto abbiano voluto emulare il rivestimento in costosa resina delle mummie reali con un materiale più economico e disponibile localmente, come era il fango.

Lo “scambio d’identità”

Come già avvenuto recentemente, le analisi condotte hanno riservato anche una curiosa sorpresa.

L’iscrizione sul sarcofago identifica il proprietario in una donna di nome “Meruah” (o “Merutah”) ed era datato, in base all’iconografia della decorazione, intorno al 1000 a.C.

Individuo mummificato e sarcofago nella Collezione Nicholson del Chau Chak Wing Museum, University di Sydney. A. Individuo mummificato, racchiuso in una moderna custodia per la conservazione, NMR. 27.3. B. Coperchio del sarcofago, NMR. 27.1.
Fonte: Sowada K, Power RK, Jacobsen G, Murphy T, McClymont A, Bertuch F, et al. (2021) Multidisciplinary discovery of ancient restoration using a rare mud carapace on a mummified individual from late New Kingdom Egypt. PLoS ONE 16(2): e0245247

Invece, le nuove analisi al radiocarbonio, condotte sui campioni degli involucri di lino, collocano la mummia nel tardo Nuovo Regno.

Ciò significa, sorprendentemente, che il corpo all’interno del sarcofago non era quello di Merutah, ma di una donna vissuta in tempi più antichi rispetto alla bara nella quale è stata ritrovata.

Nello studio i ricercatori ipotizzano che i commercianti del XIX secolo hanno probabilmente collocato un corpo mummificato, non correlato al sarcofago, per vendere un “set completo”, pratica nota nel commercio locale delle antichità.

Questo recente studio, aggiungendosi a quelli pubblicati nell’ultimo periodo, contribuisce a migliorare la nostra comprensione sull’antica arte della mummificazione.

Non solo.

Per gli studiosi questo nuovo studio potrà essere il preludio di molti altri che potrebbero rilevare altri carapaci, dimostrando come questa particolare pratica sia stata più comune di quanto registrata.


Per leggere l’articolo originale, potete andare alla Raccolta Bibliografica nella sezione “La Chimica nel Processo di Mummificazione“, aggiornata per l’occasione.

Fonti

Elena Cappannella

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