EPR: la nuova analisi non distruttiva dei materiali d’imbalsamazione

Negli anni, i ricercatori hanno condotto diversi studi per cercare di carpire i segreti degli antichi imbalsamatori egizi. Recentemente, uno pubblicato sulla rivista Analytical Chemistry, analizza i balsami di mummificazione dell’antico Egitto, con una tecnica innovativa definita risonanza paramagnetica elettronica (EPR).

Due esempi di campioni di “materia nera” studiati in questo lavoro: (a) Sarcofago di Irethorerou (Periodo tolemaico), Museé d’Art et d’Histoire, Narbonne, Francia e (b) “materia nera” in fondo al sarcofago da cui è stato prelevato il campione Hum 1.
(c) Testa della mummia di un uomo barbuto (periodo tardo), Chateau-musee, Boulogne-sur Mer, Francia. Il campione Hum 3 è stato prelevato dal collo della mummia.
Fonte: C. E. Dutoit et al., (2020), Nondestructive Analysis of Mummification Balms in Ancient Egypt Based on EPR of Vanadyl and Organic Radical Markers of Bitumen, Analytical Chemistry

Introduzione

Uno degli aspetti riguardanti l’antico Egitto che da sempre ha incuriosito studiosi ed appassionati è, senza alcun dubbio, la tecnica della mummificazione.

Negli ultimi anni si è sviluppata una sempre maggiore attenzione verso l’integrità del reperto storico e i ricercatori hanno cercato di utilizzare delle analisi il meno invasive possibili, così da mantenere l’integrità del campione studiato.

Uno studio, pubblicato nel maggio del 2020, utilizzava una particolare membrana (EVA) su una mummia egizia.

Recentemente, un gruppo del Centre National de la Recherche Scientifique di Parigi ha applicato un’innovativa tecnica non invasiva (EPR) per studiare i balsami di mummificazione.

Teoria ed analisi

Già nel XIX secolo gli studiosi ritenevano che questi materiali, oltre a composti naturali come gomme da zucchero, cera d’api, grassi e resine di conifere, contenessero anche bitume, che conferiva loro quel particolare colore nero che caratterizza tutte le mummie.

Le analisi di chimica organica condotte negli anni, come per esempio la gascromatografia associata alla spettrometria di massa (GC/MS), hanno parzialmente confermato questa teoria.

Tuttavia, queste tecniche richiedono una preparazione e separazione del campione che, purtroppo, ne causa la distruzione.

Il nuovo studio

Proprio per evitare questo, Charles Dutoit e i suoi colleghi hanno pensato di utilizzare una particolare tecnica non distruttiva, chiamata risonanza paramagnetica elettronica (EPR), con lo scopo di rilevare due componenti naturali del bitume, utilizzati come sonde paramagnetiche: le vanadil porfirine e i radicali carboniosi.

Risonanza paramagnetica elettronica (EPR).
Fonte: C. E. Dutoit et al., (2020), Nondestructive Analysis of Mummification Balms in Ancient Egypt Based on EPR of Vanadyl and Organic Radical Markers of Bitumen, Analytical Chemistry

Lo studio, pubblicato sulla rivista Analytical Chemistry dell’American Chemical Society è condotto su campioni di “materia nera” prelevati da un sarcofago, da due mummie umane e da quattro animali.

Tutti saranno analizzati poi con l’EPR.

Il tutto, confrontato poi con bitume di riferimento, di cui uno naturale proveniente dal Mar Morto e uno commerciale della Giudea.

I risultati

I risultati ottenuti hanno confermato, in modo inequivocabile, la presenza del bitume nei balsami archeologici.

Hanno però anche indicato che la quantità dei radicali e delle vanadil porfirine è strettamente dipendente dall’origine del bitume stesso.

Inoltre, grazie a questa tecnica estremamente rapida e sensibile, gli studiosi riuscirono ad individuare composti vanadilici non porfirinici dovuti ad una reazione chimica fra ioni VO2+ e gli altri componenti dei materiali usati per la mummificazione.

A volte poi, i risultati degli studi possono riservare anche alcune sorprese.

In questo caso, l’assenza del complesso di vanadile ossigenato nel bitume naturale e in una mummia umana acquistata da un museo francese nel XIX secolo, rivela un possibile restauro antico con bitume puro, non documentato, di questo reperto.

Conclusioni

Quindi, questa tecnica potrebbe risultare utile in futuro per rilevare eventuali restauri di oggetti, acquisiti poi nei musei tramite donazioni o acquistati dai collezionisti privati del XIX secolo, contenenti questa particolare “materia nera”.

Inoltre, secondo gli studiosi, potrebbe essere interessante confrontare il bitume presente nei reperti antichi con quello proveniente anche da altre fonti, per esempio dal Golfo di Suez.

Sembra infatti che anche questi ultimi fossero usati dagli antichi Egizi.

In futuro, si spera saranno pubblicati molti altri studi, compresi quelli con un’EPR più sofisticata, per poter ottenere maggiori informazioni sulla fabbricazione, evoluzione e degrado dei materiali utilizzati per la mummificazione egizia.


Per leggere l’articolo originale, potete andare alla Raccolta Bibliografica nella sezione “La Chimica nel Processo di Mummificazione“, aggiornata per l’occasione.

Fonti

  • C. E. Dutoit et al., (2020), Nondestructive Analysis of Mummification Balms in Ancient Egypt Based on EPR of Vanadyl and Organic Radical Markers of Bitumen, Analytical Chemistry.

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