Giuseppe Botti: la filologia e l’Egitto

L’antico Egitto non è solo grandi monumenti e splendide pitture. Lo sapeva bene Giuseppe Botti, egittologo autodidatta e filologo che dedicò la sua vita allo studio di papiri demotici e ieratici. Contribuendo alla pubblicazione dei cataloghi delle varie collezioni egizie in Italia e lasciando ai posteri un vero e proprio tesoro documentale.

Carlo Giuseppe Gabriele Maria Botti.
Fonte: www.unipr.it
…Torna ad onore della Scienza nostra la Sua insigne produzione scientifico-letteraria, con la quale Ella ha portato fondamentali contributi agli alti studi di Letteratura cristiana antica e di Egittologia. E pertanto, nell’esprimerLe il mio rammarico perché tra breve lascerà la Cattedra, cui ha dato tanto prestigio, formulo il cordiale augurio che il Suo nobile ingegno e la Sua esperienza di Maestro possano ancora a lungo giovare al progresso e al prestigio dell’alta Cultura nazionale.
Lettera ministeriale del pensionamento di Giuseppe Botti

I primi anni

Carlo Giuseppe Gabriele Maria Botti conosciuto in Egittologia come Giuseppe Botti secondo per distinguerlo dall’omonimo egittologo, fondatore e direttore del Museo di Alessandria d’Egitto, è stato un filologo e papirologo italiano.

Nato il 3 novembre del 1889 a Vanzone San Carlo in Piemonte venne iscritto alle elementari all’Istituto Salesiano “San Lorenzo” per poi conseguire, nel 1914, il Diploma di Magistero in Filologia Classica.

Già nel 1916 divenne professore di lettere approfondendo nel frattempo gli studi di letteratura cristiana latina.

Fu in quegli anni che, abitando a Torino proprio vicino ad un fiorente Regio Museo Egizio, iniziò ad appassionarsi alla civiltà egizia.

Incoraggiato anche da Ernesto Schiaparelli, allora direttore del Museo, e rinunciando alla famiglia (forse anche in seguito alla morte della fidanzata a causa della “Spagnola”), iniziò a dedicarsi totalmente all’Egittologia e, in particolare, alla filologia e allo studio dei testi ieratici.

I papiri ieratici e “Il Giornale della Necropoli di Tebe”

Nel 1920 ebbe l’incarico di classificare proprio i papiri ieratici facenti parte della collezione Drovetti. Ciò gli permise di acquistare familiarità con questa particolare tipologia di scrittura, utilizzata principalmente nel quotidiano e sviluppatasi dal geroglifico.

Nel 1928, alla morte di Schiaparelli, suo insegnante e sostenitore, tutti i progetti futuri cambiarono. Venne infatti nominato direttore del Museo Egizio Giulio Farina che, da subito, si mostrò contrario alla presenza di Botti, che aveva una formazione (era più un autodidatta!) e un’ideologia molto diverse dalla sua.

Il giornale della necropoli di Tebe.
Fonte: www.worthpoint.com

Nello stesso anno, però, Giuseppe Botti pubblicò il suo testo forse più prestigioso: Il Giornale della Necropoli di Tebe.

Scritto in collaborazione con Thomas Peet, allievo dell’egittologo britannico Alan Gardiner, quest’opera consiste nell’edizione dei documenti relativi alla contabilità delle attività operaie nella necropoli reale di Deir el-Medina.

Attraverso questo volume, la fama di Giuseppe Botti superò i confini nazionali e attirò l’attenzione delle maggiori scuole orientalistiche europee.

Il Mueseo Archeologico di Firenze e i papiri demotici

Sarà solo nel 1932 però che riuscirà a dedicarsi totalmente alla filologia egizia, ottenendo l’esenzione dall’insegnamento e, contestualmente, l’assegnazione al Museo archeologico di Firenze.

Venne offerta allo studioso piemontese anche una borsa di studio a Praga per seguire dei corsi di demotico.

A Firenze, suo compito era riordinare (e soprattutto studiare!) la collezione di papiri ieratici, e demotici appunto, scoperti presso l’Oasi del Fayum dall’archeologo Carlo Anti.

È nel 1939, all’uscita del brevissimo testo Il papiro demotico n° 1120 del Museo Civico di Pavia, che Botti venne definito, a tutti gli effetti, come il primo demotista nella storia dell’Egittologia italiana.

Con questo studio e quello di vari papiri e ostraka conservati presso diversi Musei italiani, Giuseppe Botti si fece apprezzare ancora di più in Italia e all’estero per la specializzazione in questo difficilissimo campo.

Botti, professore di Egittologia

Nel 1942, poi, presso l’Università degli Studi di Firenze, ottenne la libera docenza in Egittologia. Ciò gli permise di tenere il suo primo corso libero nel successivo anno accademico.

Negli anni ’50 il lavoro di Giuseppe Botti conobbe l’ennesima svolta.

Curò la pubblicazione di diversi cataloghi di collezioni egizie italiane, come Le sculture del Museo Gregoriano Egizio del 1951 o Le casse di mummie e i sarcofagi da El Hibeh nel Museo egizio di Firenze del 1958.

Nel dicembre del 1955 poi vinse il primo concorso italiano, indetto dal Ministero della Pubblica Istruzione, per una cattedra di ruolo di Egittologia presso l’Università Statale di Milano.

Colpo di scena, nel 1956 l’Università “La Sapienza” di Roma lo chiamò a ricoprire l’analoga cattedra appena costituita.

Negli anni ’60 Giuseppe Botti, per raggiunti limiti d’età, terrà il suo ultimo corso libero.

Lascerà ai suoi studenti la traduzione (pubblicata qualche anno prima) di un papiro di età adrianea contenente i testi di glorificazione del dio Sobek e rinvenuto a Tebtyni nel 1931.

“L’Archivio Demotico di Deir el-Medineh” e morte

Risale al febbraio del 1967 la pubblicazione de L’archivio demotico da Deir El-Medineh, la sua opera più significativa e punto di arrivo della sua produzione letteraria, che inaugura le pubblicazioni del Catalogo Generale del Museo Egizio di Torino.

L’archivio demotico da Deir el-Medineh.
Fonte: www.abebooks.it

Giuseppe Botti si spense improvvisamente a Firenze il 27 dicembre del 1968.

Per sua volontà i libri, gli schedari e i manoscritti vennero donati al Museo Egizio di Torino.

Giuseppe Botti non è un egittologo vero e proprio, non era interessato alla produzione materiale ed artistica.

Non per questo, “il suo” fu un Egitto meno affascinante.

Studioso di Filologia, Botti studiò l’antico Egitto attraverso i papiri, soprattutto i papiri demotici, che si limitò a studiare e tradurre.

Rifiutandosi di avanzare ipotesi.

E lasciando ai suoi studenti (e ai posteri soprattutto!), lo studio di documenti, cosiddetti “minori”, conservati in diverse collezioni egizie, a volte ignote anche agli specialisti.

Fonte

Personalità

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Elena Cappannella

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