Fa discutere il feto della mummia “incinta” di Varsavia

Risale al marzo scorso la pubblicazione del Warsaw Mummy Project che, attraverso i raggi X e l’affascinante Tomografia Computerizzata, rilevò in una mummia del I secolo a.C. un feto di circa 26 settimane. Scoprendo così la prima mummia incinta mai ritrovata. Ora, dubbi espressi dalla prof.ssa Saleem, rappresentano un’opportunità per fornire ulteriori prove della scoperta.

…vorremmo ringraziare la Prof.ssa Sahar N. Saleem per sollevare problemi tecnici e fornire dei feedback dal punto di vista di un radiologo esperto. La discussione è preziosa e incoraggiante, tanto più che il feto è oggetto della nostra continua ricerca e i risultati delle successive indagini devono essere presentati in prossime pubblicazioni.
Ejsmond, W., Ożarek-Szilke, M. A., Jaworski, M., Szilke, S., & Jaroszewska, K. (2022). Further evidence to confirm the ‘pregnant mummy’: A reply to Saleem (2021). Journal of Archaeological Science, 137, 105504.
Sezione originale (sinistra) e contorno disegnato valorizzando le parti riconoscibili del corpo fetale (destra) su un’immagine TC (piano assiale): testa (A) appoggiata all’anca (B), il busto e le gambe nella parte posteriore della cavità con la mano in avanti (C), vertebrale della mummia ospite in basso (D).
Fonte: Ejsmond, W., Ożarek-Szilke, M. A., Jaworski, M., Szilke, S., & Jaroszewska, K. (2022). Further evidence to confirm the ‘pregnant mummy’: A reply to Saleem (2021). Journal of Archaeological Science, 137, 105504.

Un dibattito scientifico in piena regola che permette, però, agli studiosi del Warsaw Mummy Project di chiarire e fornire ulteriori prove riguardo all’ultimo studio che ha affascinato egittologi e appassionati d’antico Egitto di tutto il mondo.

Si parla dello studio dello scorso marzo che, con analisi ai raggi X e l’innovativa Tomografia Computerizzata (TC), individuò in una mummia del I secolo a.C. un feto di circa 26 settimane.

Scoprendo così la prima mummia incinta mai ritrovata.

I DUBBI DELLA PROF.SSA SAHAR SALEEM

La dott.ssa Sahar Saleem, radiologo dell’Egyptian Mummy Project e nota per aver effettuato, insieme all’archeologo Zahi Hawass, il recentissimo studio con TC sulla mummia del Faraone Amenhotep I, ha espresso in un recente studio pubblicato sul Journal of Archaeological Science notevoli dubbi sulla presenza del feto nella mummia di Varsavia.

Secondo la scienziata, infatti, “l’articolo basava la diagnosi sull’aspetto esterno di una massa pelvica che assomigliava a un feto arrotolato ma senza essere in grado di rilevare alcuna configurazione anatomica o ossatura”.

Per questo motivo la prof.ssa Saleem consiglia il dott. Ejsmond e colleghi a rivedere le radiografie della mummia con un protocollo appropriato, supervisionato da un paleo-radiologo. Così si potrebbe rivedere o chiarire la diagnosi della “mummia incinta” e includere diverse prognosi, come impacchi per l’imbalsamazione nei visceri o un tumore pelvico calcificato.

La risposta degli studiosi del Warsaw Mummy Project non si è fatta attendere.

IL NUOVO STUDIO DEL WARSAW MUMMY PROJECT

In uno studio d’inizio anno pubblicato, come il precedente, sul Journal of Archaeological Science, rispondono ad una ad una alle perplessità della collega, fornendo ulteriori dettagli ed affascinanti immagini sul feto.

Ejsmond e colleghi ritengono improbabile che la massa individuata possa essere un tumore o un litopedion (anche detto “bambino di pietra”).

Nel primo caso, perché i tumori uterini non crescono all’interno dell’utero come invece la massa individuata durante il primo studio; inoltre, molto probabilmente, sarebbe stato rimosso, insieme all’utero, durante l’imbalsamazione.

Per quanto riguarda il litopedium, quest’ultima è una patologia molto rara correlata a gravidanze extrauterine. E comunque, anche se fosse stato il caso, non solo si parlerebbe della prima mummia egizia incinta al mondo, ma anche con una patologia molto rara.

Tuttavia, prima di identificarlo come feto, la massa nella cavità pelvica è stata appunto analizzata, rispetto a numerosi tipi e forme di tumori del sistema urogenitale femminile, dalla dott.ssa Katarzyna Jaroszewska, ginecologa ostetrica esperta e specialista in patologia uterina e coautrice dello studio.

Gli studiosi del Warsaw Mummy Project hanno un’ipotesi che spiega anche il fatto che la massa pelvica abbia un aspetto (come ammesso dalla dott.ssa Saleem) che somigliava a un “feto arrotolato, ma senza poter rilevare alcun tipo di ossatura”.

Infatti, in questo nuovo articolo, gli studiosi polacchi spiegano che durante i 70 giorni nel natron (miscela naturale salina nel quale venivano immersi i corpi), il feto è rimasto all’interno della madre.

L’acido formico e altri composti (formatisi dopo la morte nell’utero a causa di vari processi chimici legati alla decomposizione) hanno cambiato il PH all’interno del corpo della donna.

Il passaggio da un ambiente alcalino ad uno acido ha causato la lisciviazione di minerali dalle ossa fetali, che hanno iniziato a seccarsi e mineralizzare. Ciò spiega perché difficilmente si vedono le ossa nelle scansioni TC.

Si riesce a vedere la mano, ma non sono ossa. Sono tessuti secchi.

A sinistra: rendering volumetrico del feto dai dati TC. A destra: interpretazione: A – testa, B – mano destra, C – mano sinistra, D – gamba destra.
Fonte: Ejsmond, W., Ożarek-Szilke, M. A., Jaworski, M., Szilke, S., & Jaroszewska, K. (2022). Further evidence to confirm the ‘pregnant mummy’: A reply to Saleem (2021). Journal of Archaeological Science, 137, 105504.

Il cervello, infatti, che si sviluppa più velocemente e, quindi, è più mineralizzato, è stato parzialmente conservato.

In conclusione, gli studiosi hanno stabilito che:

se l’oggetto rilevato ha la forma di un feto, è presente all’interno dell’utero e possono essere facilmente distinguibili caratteristiche che ricordano una mano ed una testa, “è difficile proporre un’interpretazione diversa da quella di un nascituro”.

Quel che è certo è che le ricerche non sono terminate e, come scritto nell’articolo, pubblicheranno i risultati di successive indagini sul feto in prossime pubblicazioni.

A questo punto, non resta che attendere l’eventuale risposta della prof.ssa Sahar N. Saleem.

Fonti

Elena Cappannella

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