Dalla produzione del vetro al Blu Egizio

È stata pubblicata il 10 Aprile 2023 la prima parte di una completa ed interessante review su uno dei pigmenti più affascinanti dell’antico Egitto: il Blu Egizio. L’italiano Marco Nicola e gli altri autori ne descrivono le proprietà generali e gli usi storici.

Cos’è il Blu Egizio?

Il Blu Egizio, un tetrasilicato di rame, è un pigmento inorganico sintetico.

È considerato il primo colorante artificiale della storia, analogo alla cuprorivaite, un raro minerale naturale.

Il Blu Egizio è stato prodotto in Egitto più di 5000 anni fa, in epoca predinastica, ma il suo impiego si diffuse solo a partire dalla IV dinastia.

Grazie al legame con Roma, verrà esportato in tutto il bacino del Mediterraneo e importanti centri produttivi si stabilirono anche fuori dall’Egitto come Pozzuoli, in Italia.

Nel Medioevo l’antico Blu Egizio sembra essere stato dimenticato per poi essere riscoperto nel XX secolo.

La Review pubblicata il 10 Aprile 2023 su Springer Link

Diversi sono i lavori e gli studi su questo particolare pigmento.

L’ultimo, Egyptian blue, Chinese blue, and related two‑dimensional silicates: from antiquity to future technologies. Part A: general properties and historical uses, è una completa ed interessante review pubblicata online il 10 Aprile 2023 su Springer Link.

Gli autori, Marco Nicola e Roberto Gobetto del Dipartimento di Chimica dell’Università di Torino e Admir Masic del Dipartimento d’Ingegneria Civile e Ambientale del Massachusetts Institute of Technology, hanno riportato in questa “Parte A” numerosi dettagli sulle proprietà generali e gli usi storici del Blu Egizio.

Confrontandolo anche con due pigmenti dalle caratteristiche simili, ma sviluppati “molto probabilmente indipendentemente dal Blu Egizio”: il Blu Cinese e il Viola Cinese.

Nel lavoro si specifica come la tecnica di produzione del pigmento artificiale egizio sia strettamente correlata al miglioramento delle fornaci e, quindi, a materiali come la faïence, il rame e il vetro (ottenuto a partire dalla silice).

In effetti, dagli studi effettuati, il Blu Egizio è composto da silice (una delle componenti della sabbia), dal carbonato di sodio (il natron) e dal rame.

Il Blu Egizio e la Malachite alla Mostra “Archeologia Invisibile” al Museo Egizio di Torino.
Ph. Elena Cappannella

Gli Egizi ottenevano quest’ultimo inizialmente dalla malachite poi, nel passaggio dall’età del rame a quella del bronzo, veniva ricavato direttamente dagli scarti di lavorazione del bronzo.

Il nome egizio ḫśbd iryt (lapislazzuli artificiale) evidenzia uno degli usi che ne fecero gli Egizi; il Blu Egizio, infatti, oltre che come pigmento, era anche un sostituto dei costosi lapislazzuli provenienti dall’Afghanistan.

Come si otteneva il Blu Egizio?

Ad oggi non esistono, purtroppo, ricette che descrivono i metodi di fabbricazione di questo pigmento. Gli autori ipotizzano perciò che “la tecnica utilizzata è stata mantenuta con una certa segretezza ed è stata tramandata oralmente di generazione in generazione”.

I tanti studiosi che nel XIX e XX secolo hanno cercato di replicarlo si sono basati su fonti di epoca romana, principalmente Vitruvio e il suo De Architectura, dove la tecnica di produzione sembra coerente con quanto riportato, anni dopo, da Plinio il Vecchio.

In pratica, sembra che gli Egizi mescolassero in un crogiolo di terracotta limatura di rame (o, in altri casi, la malachite), sabbia del deserto (che conteneva silice e carbonato di calcio) e il natron (cioè, carbonato di sodio).

Il tutto (secondo Vitruvio impastato con acqua) veniva cotto nelle fornaci fino ad ottenere dei panetti che venivano pestati e nuovamente trasferiti in cottura.

Non sappiamo per quante volte gli Egizi ripetessero questi passaggi.

Un’altra delle caratteristiche accuratamente descritte nel lavoro di Nicola et al. riguarda l’influenza che hanno alcuni parametri sull’intensità del colore. Fra questi, la dimensione delle particelle, la temperatura, le impurità e le materie prime utilizzate.

Il Blu Egizio è davvero scomparso nel Medioevo?

Nella review sono infine riportati alcuni esempi di opere di epoca romana e medievale in cui si rileva il Blu Egizio.

Si cerca, inoltre, di capire come mai nell’Alto Medioevo l’uso di questo pigmento diminuirà drasticamente.

Una possibile spiegazione è legata alla crisi medievale quasi concomitante della lavorazione del vetro” oppure potrebbe essere legato ad una carenza di natron, dovuta alla paralisi del commercio che seguì la caduta dell’Impero Romano.

Tuttavia, negli anni 2000 si scoprì che il Blu Egizio non sparì totalmente: gli studiosi lo hanno infatti ritrovato in alcune opere rinascimentali.

A sinistra: particolare della Galatea di Raffaello. Villa Farnesina, Roma. A destra: luminescenza indotta dal rosso che mostra la distribuzione del Blu Egizio in bianco.
Fonte: Nicola, M., Gobetto, R., & Masic, A. (2023). Egyptian blue, Chinese blue, and related two-dimensional silicates: from antiquity to future technologies. Part A: general properties and historical uses. Rendiconti Lincei. Scienze Fisiche e Naturali, 1-45.

Fra queste, non si può non citare il ritrovamento “più sorprendente” avvenuto nel 2020: quello sull’affresco di Raffaello il Trionfo di Galatea, dipinto intorno al 1512 a Villa Farnesina a Roma.

La riscoperta del Blu Egizio

Recentemente, il Blu Egizio è tornato alla ribalta della scienza per le sue importanti applicazioni moderne.

Per esempio, nei Beni Culturali sembra possa essere usato di nuovo come pigmento essendo più rispettoso dell’ambiente, stabile nel tempo e libero da elementi tossici.

La caratteristica più affascinante però, riguarda il fatto che, se eccitato da luce visibile, il Blu Egizio emette una luminescenza nel vicino infrarosso. Questo ha premesso di rilevarne la presenza sulla superficie di oggetti in cui era invisibile all’occhio umano.

Alcuni scarabei e reti per mummie nel Museo Egizio di Torino. Le immagini VIL (Visible Induced Luminescence) a sinistra di ogni foto indicano la presenza di Blu Egizio come materiale luminoso. Il VIL in alto mostra che gli scarabei sono fatti Blu Egizio, mentre la VIL centrale e quella inferiore permettono di riconoscere quali perle tubolari sono composte da Blu Egizio e quali da faïence all’interno di ciascuna rete.
Fonte: Nicola, M., Gobetto, R., & Masic, A. (2023). Egyptian blue, Chinese blue, and related two-dimensional silicates: from antiquity to future technologies. Part A: general properties and historical uses. Rendiconti Lincei. Scienze Fisiche e Naturali, 1-45.

La moderna riscoperta del Blu Egizio, del Blu Cinese e del Viola Cinese, nonché le loro applicazioni innovative saranno gli argomenti della “Parte B” della review di Nicola, Gobetto e Masic.

E a noi, come spesso ci ritroviamo a scrivere, non resta che rimanere in trepidante attesa di quella che già promette di essere un’interessante pubblicazione.

Fonti

Elena Cappannella

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