Apis, il sacro toro di Menfi

Il culto di Apis è uno dei culti animali più importanti e più rappresentativi dell’antico Egitto. Il periodo compreso tra il Nuovo Regno e il Periodo Tolemaico è quello più interessante, perché fu in questo intervallo temporale che il culto raggiunse il suo periodo d’oro. Il culto di Apis lega insieme diversi aspetti importanti dell’antica società egizia: dalla politica, alla religione, all’ideologia della regalità e, infine, alla sfera culturale in generale.”

Un defunto adora un’immagine del sacro toro Apis su una stele scoperta nel Serapeo di Saqqara.
Fonte: historia.nationalgeographic.com

Il centro principale del culto

Il principale centro di culto di Apis fu la città di Menfi, che ha sempre svolto un ruolo cruciale, sia come prima capitale dopo l’unificazione dell’Alto e del Basso Egitto (ruolo che ha continuato a ricoprire anche in alcuni periodi successivi), sia come città sacra. Trovandosi appena sotto il punto in cui converge il Delta, Menfi aveva una posizione geografica strategica; non mancava mai una fornitura costante di acqua dolce, era crocevia di rotte da e verso l’Egitto ed era in prossimità del Nilo, il più importante approvvigionamento idrico e mezzo di trasporto del Paese. L’esatta planimetria della città dell’Antico Regno non è stata ancora stabilita, perché le strutture si trovano oggi a circa sei metri sotto l’attuale livello del suolo.

Il percorso del Nilo con le grandi città dell’Antico Egitto: Menfi, Tebe, Sais. Tempio di Ptah (vedi foto) a Karnak. Fonte: ancienegypte.fr

Saqqara e Giza sono le due antiche necropoli di Menfi.

In particolare, Saqqara è il luogo dove furono sepolte molte personalità importanti: re, funzionari e personaggi dell’élite di diverse dinastie. Una parte di Saqqara, la necropoli degli animali sacri, è il luogo in cui sono stati sepolti molti animali di culto.

È qui che Auguste Mariette scoprì per la prima volta le catacombe dei tori Apis, il Serapeo, nel 1851.

Serapeum di Saqqara: Rampa d’accesso ai sepolcri. Fonte: www.barcelo.com

Menfi era notoriamente conosciuta per la venerazione del dio creatore Ptah. Ben presto, Apis divenne sostanzialmente un’incarnazione del dio creatore menfita e, con il passare del tempo, le sue affiliazioni divennero più complesse. Una in particolare, con riferimento all’epoca ellenistica, fu Serapide.

Origine ed evoluzione del culto

Apis era originariamente un simbolo di fertilità e il suo culto si perde nella notte dei tempi.

La teologia del toro Apis si articola intorno a un ciclo che è messaggero di un doppio significato: da un lato, Apis personifica la forza del Faraone, in grado di governare il cosmo, dall’altro diviene simbolo della rinascita osiriana.

Nel periodo protostorico sono state rinvenute palette votive in cui è raffigurato un toro che colpisce a cornate i propri avversari. È palese come, in questa immagine, il toro rappresentasse il re.

Questa manifestazione verrà consolidata anche nel periodo storico con la coda di toro posticcia fissata alla cinta del sovrano e con il frequente uso nel protocollo regale del Nuovo Regno del titolo di “Toro Possente”.

Scultura in bronzo, squisitamente decorata, rappresentante il dio Apis, raffigurato come un toro con un disco solare tra le corna (Dinastia 18, circa 1380 a.C.). Fonte: www.worldhistory.org

Le prime notizie certe sul toro Apis risalgono alla I dinastia.

Una scritta geroglifica su una coppa che porta il nome del re Aha (I dinastia) annuncia “la prima corsa di Apis”.

Nell’Antico Regno il toro Apis compare come divinità nei “Testi delle Piramidi”.

Altri riferimenti si trovano nel tempio solare di Neuserre (Abu Gurob) e nei titoli e nei nomi di alcune personalità.

Come accennato in precedenza, durante l’Antico Regno il toro Apis godeva della gloria riflessa del dio Ptah della città di Menfi. Apis era considerato il ba vivente di Ptah, cioè la manifestazione terrena del dio.

Durante il Medio Regno, Menfi perse parte della sua importanza politica e, sotto la guida dei sovrani ramessidi, Apis venne considerato di nuovo un dio locale.

Con Seshonq I (XXII dinastia), faraone di origine libica, il culto, il fasto dei rituali e l’importanza di Apis come divinità nazionale tornarono in auge.

Il culto e le inumazioni degli Apis continuarono in epoca greca e romana, tanto che nel 362 d.C. Giuliano l’Apostata fa cercare ancora un nuovo Apis.

Il culto nel dettaglio

Il toro Apis sembra essere stato associato alla festa Sed, ma poco si sa del suo culto, a parte le disposizioni prese per la sua sepoltura a partire dall’ultima parte della XVIII dinastia in poi.

Prima di questo periodo, non vi sono prove sostanziali circa le disposizioni per l’inumazione del suo corpo. È stato suggerito che il luogo di sepoltura dei tori Apis dell’Antico Regno potrebbe essere rappresentato dalle ampie gallerie che si trovano sotto la parte occidentale del recinto della piramide a gradoni.

In alternativa, è possibile che i resti siano stati semplicemente depositati all’interno dei recinti del tempio di Ptah stesso, forse dopo essere stati in parte consumati in una festa cerimoniale.

Qualunque sistemazione fosse esistita in precedenza, subì una drammatica revisione durante il regno di Amenhotep III (XVIII dinastia), con la costruzione del primo di una lunga serie di luoghi di sepoltura, noti collettivamente come Serapeo.

Il toro Apis si distingueva dagli altri tori per alcuni segni fisici identificativi, citati dagli autori antichi:

  • il mantello nero;
  • un triangolo bianco invertito sulla fronte;
  •  un segno bianco assomigliante a un avvoltoio sulle spalle e a un falco sulle natiche;
  • un segno in forma di scarabeo sotto la lingua;
  • la coda a ciuffi (peli doppi).

Un altro aspetto del toro Apis sono le sue corna, spesso mostrate dritte, angolate verso l’esterno di quarantacinque gradi e, almeno nella XVIII dinastia, di colore grigio.

Il toro Apis proteggeva i morti nel loro cammino verso gli inferi. Questo spiega il suo utilizzo come disegno sulle estremità della bara (Museo Nazionale della Scozia, Edimburgo, Regno Unito).
Fonte: www.worldhistory.org

La ricerca del nuovo Apis poteva protrarsi per molti mesi ed era svolta da sacerdoti specializzati. Dopo che l’identificazione era confermata da alti prelati, il nuovo Apis era trasferito a Nilopolis, una città vicino a El-Wasta. Qui il torello risiedeva per 40 giorni, accudito da sole donne che gli ostentavano i genitali.

Al termine di questa fase, l’animale era fatto salire a bordo di una nave e, in una cabina dorata, veniva portato a Menfi. Una volta in città, il toro era destinato ad essere insediato nel suo edificio di culto (stalla) all’interno della recinzione del tempio del dio Ptah.

Da questo momento era interdetto alle donne andare alla presenza dell’animale.

La stalla era il Sancta Sanctorum del toro Apis.

Davanti ad essa, una corte consentiva le “apparizioni” e le visite dei fedeli.

La vacca-madre del toro, associata alla dea Iside, alloggiava nei pressi.

L’animale era anche dotato di un harem di giovenche e, preti e servitori, erano addetti alla cura delle bestie.

All’interno del tempio, il toro Apis viveva la sua vita con modalità simili a quelle del sovrano ed era cadenzata da alcuni momenti cerimoniali e da riti importanti:

  • “Apparizione” ai visitatori nella corte del tempio;
  • Risposte oracolari;
  • Partecipazione alla festa annuale di Ptah;
  • La corsa con il faraone.

La vita media di un Apis era di 18-19 anni.

In base a quanto riportato da alcuni scrittori classici, si è ipotizzato che morisse per annegamento. Questa morte aveva lo scopo di rinnovare il mito di Osiride e la sua morte per affogamento nel Nilo. Gli autori moderni negano questa ipotesi: gli Apis morivano di morte naturale.

La processione funeraria avanzava verso il lago di Abusir e qui si svolgevano alcuni rituali di purificazione del toro defunto. L’equivoco si sarebbe generato dall’errata spiegazione di questo rituale.

In vita il Toro Apis era associato al dio Ptah; tuttavia, alla morte, la divinità del toro divenne OsirApis fondendosi con il dio Osiride, il sovrano dell’aldilà. Di conseguenza, si credeva che Apis fosse la rappresentazione dell’equilibrio e dell’eternità. Immagine: La sacra processione di Apis Osiris di F.A. Bridgman.
Fonte: www.worldhistoryedu.com

Alla morte del toro Apis, i sacerdoti di Ptah e quelli che avevano curato il toro iniziavano una veglia, digiunavano e dovevano astenersi dai rapporti sessuali. Il digiuno era totale per i primi quattro giorni e parziale per i 70 successivi. Gli unici alimenti concessi erano pane, acqua e vegetali. Dovevano evitare con cura ogni cibo di origine animale.

Un defunto adora un’immagine del sacro toro Apis su una stele scoperta nel Serapeo di Saqqara. Fonte: historia.nationalgeographic.com

Dopo la morte, il corpo del toro veniva portato al laboratorio della mummificazione. La mummia veniva ricomposta, stuccata e dipinta con un globo solare tra le corna.

Accompagnata da una processione di sacerdoti e notabili del regno, la mummia veniva posta sopra una slitta e trainata verso il Serapeum.

Sulla mummia veniva praticato il “rituale dell’apertura della bocca” e infine introdotta nella stanza del sotterraneo che le era dedicata.

Qui, fuori dalla vista dei profani, la bara era introdotta nel sarcofago di pietra.

Per altre curiosità sul culto degli animali, andate alla Raccolta Bibliografica, nella sezione Animali sacri: culti e curiosità, scritta per l’occasione.

Fonti

  • Dodson, Aidan. “Bull cults.” Divine creatures: animal mummies in Ancient Egypt (2005)
  • Gilberto Modonesi. “Vita E Morte Di Una Divinita’ Egizia: Il Toro Api”. Testo della conferenza presentata al Museo di Storia Naturale di Milano (2011)

Claudio Lombardelli

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